In un mondo fatto di preparatori atletici che consigliano alimenti e diete, la nostra Dottoressa Valeria Galfano ci aiuta a fare chiarezza su una questione molto complessa come il substrato energetico nel CrossFit®. Per chi non sapesse chi è la Valeria ecco un piccolo riepilogo.
Laurea in Medicina e Chirurgia
Nutrizionista presso il policlinico Umberto I di Roma
Docente SIFA (Scuola Italiana Fitness e Alimentazione)
Personal trainer- Online personal training – Atleta IFBB categoria Bikini
Piu’ zuccheri o piu’ grassi ?
Negli ultimi decenni, le raccomandazioni dietetiche si sono concentrate principalmente sulle calorie totali, sui grassi alimentari e sul colesterolo, ignorando i molteplici altri effetti della dieta sullo stato di salute.
Oggi sappiamo che la dieta può influenzare non solo i livelli di glucosio e di lipidi ma anche altri fattori di rischio cardiometabolico, come lo stress ossidativo, l’infiammazione e l’endotelio vascolare. Sappiamo anche che le diete basate su nutrienti isolati, come le diete a basso contenuto di grassi, producono pochi benefici clinici riguardo malattie cardiovascolari, diabete mellito o insulina-resistenza.
Al contrario, modelli dietetici salutari, integrati con un più ampio concetto di corretto stile di vita, che comprende dunque anche l’attività fisica, lo sport, il riposo, la convivialità e la stagionalità dei prodotti, come i modelli di dieta mediterranea, sono coerentemente associati a un rischio ridotto di eventi clinici. E infine, sappiamo che la qualità degli alimenti influenza l’omeostasi del peso nel lungo termine, in modo tale che tutte le calorie non siano uguali per l’adiposità a lungo termine.
“TOO MUCH OF A GOOD THING MAY BE TOXIC”
Se consumati in eccesso, sia zuccheri che grassi saturi, ovvero i marcatori di modelli alimentari occidentali, conducono all’aumento del rischio di malattie croniche. È diventato chiaro che i carboidrati non sono tutti uguali e che la loro qualità è legata all’aumento o alla riduzione del rischio.
Alimenti ricchi di fibra alimentare come frutta, legumi, verdure e cereali integrali sono protettivi, al contrario, i cibi ricchi di zuccheri raffinati come pane bianco, riso bianco, cereali, cracker e dolci da forno, amidi (patate) e prodotti ricchi di zuccheri aggiunti (zucchero, bevande zuccherate, caramelle) sono dannosi per la nostra salute. Così come succede per il grasso totale, allo stesso modo la qualità dei carboidrati modifica il rischio cardiometabolico.
Nonostante i decenni di linee guida dietetiche che promuovono un’alimentazione a basso contenuto di grassi, l’obesità ha continuato a colpire a un ritmo allarmante. Un maggiore apporto di bevande analcoliche zuccherate è associato a una prevalenza maggiore del 44% di sindrome metabolica, un più alto rischio di obesità, e un rischio aumentato del 26% di sviluppare diabete mellito.
L’associazione del consumo di bevande zuccherate con obesità e maggiore resistenza all’insulina è stata attribuita a più fattori, tra cui un maggiore apporto calorico, un elevato contenuto in fruttosio e una riduzione della sensazione di sazietà. Per limitare il loro consumo, è stato proposto di tassare gli alimenti trasformati che contengono qualsiasi forma di zuccheri aggiunti, definiti come qualsiasi dolcificante contenente la molecola di fruttosio aggiunta al cibo durante la lavorazione. Questo includerebbe bevande gassate, bevande sportive ed energy drink. Attualmente, un cittadino americano consuma una media di 216 L di soda all’anno, di cui il 58% contiene zucchero: traducendo in calorie, questo significa più di 600 calorie per persona al giorno.
I CARBOIDRATI NELLA DIETA
I carboidrati rappresentano circa il 55% del tipico modello di dieta occidentale, vanno da 200 a 350 g al giorno in relazione alla personale assunzione calorica complessiva. Le diete a basso contenuto di carboidrati limitano tali macronutrienti a 20-50 g al giorno, come nelle diete chetogeniche cliniche.
In conseguenza alla riduzione di zuccheri e amidi, l’organismo umano riduce la secrezione di insulina e passa a bruciare i grassi, e questo accade principalmente attraverso una dieta a basso contenuto di carboidrati. In questo stato metabolico, detto chetosi nutrizionale, il fegato converte gli acidi grassi in corpi chetonici che forniscono carburante per lo svolgimento delle funzioni fisiche; inoltre, i corpi chetonici possono penetrare la barriera emato-encefalica e venire utilizzati dal cervello come fonte di energia.
Confermando i risultati di precedenti revisioni sistematiche, una metanalisi più recente di 13 studi controllati randomizzati, dimostra che i soggetti che seguono una dieta chetogenica (una dieta con un massimo di 50 g di carboidrati al giorno) tendono a perdere più peso rispetto ai soggetti impegnati in diete a basso contenuto di grassi. Valutando l’effetto a lungo termine, non ci sono prove valide per raccomandare diete a basso contenuto di grassi, poiché la differenza nella perdita di peso era di soli 0,36 kg quando le diete a basso contenuto di grassi sono state confrontate con varie diete più alte in grassi. In effetti, le diete a basso contenuto di carboidrati hanno portato a una perdita di peso significativamente maggiore rispetto agli interventi a basso contenuto di grassi.
Tuttavia, l’entità di tale beneficio è piccola e non rappresenta un reale beneficio clinico. Inoltre, indipendentemente dalla prescrizione dietetica, la perdita di peso media complessiva nei test sono limitati (circa 3,75 kg). Questo è in linea con i risultati degli studi clinici randomizzati di grandi dimensioni, con interventi dietetici a lungo termine per la riduzione ponderale.
UNA CALORIA NON E’ SEMPRE UNA CALORIA
L’ effetto benefico sul peso corporeo delle diete a basso tenore di carboidrati può essere dovuto alla modulazione del dispendio energetico a riposo. In condizioni isoenergetiche, una dieta a basso contenuto di carboidrati sembra essere migliore rispetto a una dieta a basso contenuto di grassi. In altre parole, la qualità delle calorie consumate può influire sul numero di calorie bruciate. D’altra parte, una dieta a lungo termine presenta bassi tassi di aderenza, indipendentemente dal fatto che sia a basso contenuto di grassi o a basso contenuto di carboidrati.
È probabile che gli individui affetti da sindrome metabolica, insulino-resistenza associata all’obesità e al diabete di tipo 2 vedano miglioramenti in termini di biomarcatori di rischio cardiometabolico con diete a basso contenuto di carboidrati. Il controllo del glucosio migliora come conseguenza della minore introduzione di glucosio e migliora di conseguenza anche la sensibilità all’insulina. Oltre a ridurre il peso e l’insulino-resistenza, le diete low-carb possono anche influenzare i livelli di lipidi ematici e associarsi con miglioramenti nei trigliceridi e nei livelli di colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità), nonché un passaggio da particelle LDL piccole e dannose a
particelle grandi e meno dannose.
La pianificazione del pasto dovrebbe essere personalizzata per le persone con disordini metabolici, così come è stato suggerito per il paziente diabetico. Inoltre, la percentuale ideale di calorie dai macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi) potrebbe non essere uguale per tutte le persone e dovrebbe concentrarsi su preferenze, esigenze e obiettivi personali.
I modelli alimentari che hanno dimostrato risultati positivi condividono molte caratteristiche, tra cui un maggiore consumo di alimenti minimamente trasformati come frutta, frutta a guscio e semi, verdure (escluse le patate), legumi, cereali integrali, frutti di mare, yogurt e oli vegetali; e un minor consumo di carni rosse, carni lavorate e alimenti ricchi di cereali raffinati, amidi e zuccheri aggiunti. Tali diete sono più elevate in antiossidanti naturali, fibre, vitamine, minerali, fenoli e grassi insaturi (monoinsaturi e polinsaturi) e più bassi nel carico glicemico, indice glicemico, sale e grassi trans. La dieta mediterranea produce un significativo beneficio cardiometabolico nelle persone con disturbi metabolici. L’aumento del consumo di alimenti di alta qualità riduce l’infiammazione, migliora la disfunzione endoteliale e riduce lo stress ossidativo. Questo a sua volta può migliorare la sensibilità all’insulina nei tessuti periferici, agendo come da barriera contro sindrome metabolica e diabete di tipo 2.
La percentuale ottimale di carboidrati in una dieta quotidiana dovrebbe essere individualizzata per le persone con disfunzione metabolica, come l’obesità, la sindrome metabolica e il diabete tipo 2. La qualità dei carboidrati ingeriti sembra essere più importante della quantità per i risultati in termini di salute, le persone con disturbi metabolici dovrebbero evitare o ridurre in modo sostanziale i grani raffinati a basso contenuto di fibra, amidi e zuccheri aggiunti. Per l’aumento di peso a lungo termine, i cibi ricchi di tali carboidrati sembrano essere i principali colpevoli.
In un senso più generale, i modelli alimentari che hanno dimostrato benefici nelle persone ad alto rischio di malattie cardiovascolari, compreso il paziente diabetico, presentano un contenuto in carboidrati inferiore al 50% del contenuto energetico giornaliero. Così, il consumo dei carboidrati giusti (ad alto contenuto di fibre e lentamente digeriti), sembra assestarsi su un livello moderatamente inferiore: tra il 40 e il 50% del contenuto energetico giornaliero, compatibile con uno stato di buona salute e può rappresentare una scelta scientificamente fondata e gradevole. Ridurre i cereali raffinati, gli amidi e gli zuccheri aggiunti è una delle principali priorità dietetiche per ridurre il rischio cardiometabolico. Tuttavia, l’educazione del paziente rimane una pietra miliare della terapia, per migliorare l’aderenza a lungo termine e quindi per magnificare gli effetti benefici della dieta.
IL CUORE ALLENATO
I mammiferi rispondono all’esercizio muscolare aumentando la gittata cardiaca per far fronte all’aumento della richiesta di ossigeno nei muscoli in esercizio ed è ben noto che regolari periodi di esercizio portano a un rimodellamento miocardico. A seconda del tipo di esercizio, intensità e durata, questi adattamenti cardiaci portano a cambiamenti nei substrati energetici necessari per sostenere la contrattilità cardiaca. In contrasto con il cuore insufficiente, gli acidi grassi sono il substrato preferito nel cuore allenato, anche se il metabolismo del glucosio è pure migliorato per supportare la fosforilazione ossidativa.
La partecipazione dei pathway AMPK/eNOS e PPARα/PGC-1α nella regolazione del metabolismo cardiaco è ben nota, ma anche altri attori contribuiscono con l’attivazione di sirtuine e attivazione di FAK e altre chinasi mediata da integrine. Questi attori regolatori agiscono aumentando l’assorbimento degli acidi grassi e l’ossidazione e l’assorbimento del glucosio tramite i recettori GLUT4. Questo aumento della flessibilità metabolica dei mitocondri indotto dall’esercizio è importante per sostenere la domanda energetica associata all’ipertrofia e all’iperplasia dei cardiomiociti promossi dall’IGF-1 e dalla segnalazione di PI3K/Akt indotta da neuregulina-1. Quindi, il consiglio senza tempo di Ippocrate “camminare è la migliore medicina” sembra essere giustificato dalla promozione della salute mitocondriale e, di conseguenza, dal benefico rimodellamento metabolico del cuore.
Dott.ssa Valeria Galfano